Paese che vai… matrimonio che trovi
Paese che vai matrimonio che trovi…
Una delle cose più affascinanti di un matrimonio, è che pur trattandosi dello stesso evento, dove si verificano momenti simili più o meno prevedibili, si vivono un’infinità di situazioni, tradizioni, emozioni e dinamiche diverse.
Ci sono quelli che durano poche ore e quelli che durano giorni.
Ci sono quelli in cui si invita un intero paese e quelli con pochi intimi.
Matrimoni dove i discorsi degli sposi, dei testimoni e genitori vengono preparati con grande cura
e altri dove scattano battute spontanee, oppure niente.
Quelli allegri e quelli seriosi.
Quelli in cui si balla continuamente e quelli dove si sta quasi sempre seduti.
Quelli formali e quelli anticonvenzionali…
Ogni matrimonio segue una certa ritualità, con una certa tempistica e rispetta un determinato canone, ma ogni coppia differisce nel modo di agire, reagire, relazionarsi ed emozionarsi.
Ogni luogo e ogni popolo differisce per abitudini e tradizioni.
Le sfumature quindi son infinite.
Credo sia questo uno dei motivi per cui molti fotografi scelgono di dedicarsi al wedding.
Sappiamo che anche dopo centinaia di matrimoni fotografati negli anni, possono sempre capitare nuove occasioni per fare delle foto originali e magari il prossimo matrimonio, potrebbe regalarci una situazione imprevedibile. Per un fotografo questo è uno stimolo irresistibile.
Oppure può capitare che situazioni note o già conosciute, vengano sentite e rivissute con occhi nuovi…
Proprio quello che è successo a me nei confronti di alcune tradizioni legate al matrimonio, tipiche dei paesi meridionali.
Il matrimonio al sud, soprattutto nei piccoli paesi, è generalmente molto sentito come evento collettivo, oltre che familiare.
Spesso c’è una grande partecipazione popolare, molti vanno a vedere e salutare gli sposi anche se non sono invitati, per manifestargli affetto e vicinanza.
Così magari è d’obbligo per la nuova coppia passare nelle strade dove abitano o dove sono in qualche modo più legati, perché troveranno dei nastri da tagliare, dei giochi da fare e delle bottiglie da stappare.
Ho iniziato a fare il fotografo di matrimoni aprendo uno studio nel mio paese di origine, nel sannio beneventano.
I primi tempi trovavo noioso e scattavo mal volentieri le foto dei nastri e di altre situazioni simili, soprattutto quelle volte che ce n’erano a decine.
Forse anche per il fatto che si lavorava con pellicola medio formato e l’autonomia non era come con gli scatti infiniti dell’era digitale, mi sembrava quasi uno spreco, una cosa noiosa, lunga e a volte anche pacchiana.
La scelta di trasferirmi a Bologna non si è mai trasformata in distacco, né affettivo né fisico ed ho continuato a lavorare nella mia zona di origine anche dopo la partenza.
Forse perché la lontananza favorisce la nostalgia, o forse semplicemente perché ho cominciato a guardare le cose sotto un altro aspetto, ho cominciato col tempo a dare maggiore importanza a certi usi e tradizioni.
Piano piano ho iniziato a fotografare con più simpatia, attenzione e partecipazione, anche i nastri e gli altri momenti di “festa collettiva”.
Non seguo più gli sposi per le strade dei paesi sbruffando all’apparire dei nastri, degli amici con qualche scherzo o di qualche vecchietta che lancia riso, petali e monetine.
Ma anzi cerco di cogliere e fotografare al meglio questi gesti atavici, che forse tra qualche generazione saranno scomparsi.
Quel modo semplice e popolare di augurare agli sposi una lunga e felice vita insieme,
è diventato qualcosa di prezioso da fotografare, valorizzare e conservare.
testo e foto di Roberto Fusco