Riscattiamo lo scatto.
Oggi la fotografia subisce una sorte di paradosso.
Fotografiamo continuamente, le memorie elettroniche sono piene di foto, ma gli album fotografici, le cornici e i cassetti non contengono più come un tempo, quelle stampe di foto significative che evocano o raccontano persone e avvenimenti. In particolare scarseggiano le stampe di ritratti fotografici. Facilitati dalla tecnologia, realizziamo una gran quantità di istantanee dei nostri cari, ma pochi ritratti fatti bene.
Un po come fare una grande abbuffata ma insipida, perché l’abbondanza senza qualità svaluta le fotografie, toglie sapore.
Lo vediamo con i selfie tanto in voga oggi.
Se paragoniamo un autoritratto ai selfie, notiamo che nel primo l’autore esprime e mette in mostra qualcosa di sé, nel secondo invece spesso emerge solo della banale vanità.
O se va bene un po di ironia.
Mi è capitato di percepire nettamente queste contraddizioni tre o quattro anni fa mentre rivedevo il mio film preferito: “C’era una volta in America”.
C’è una scena in cui Noodles, il protagonista, guarda il ritratto da ragazzina del suo grande amore Deborah Gelly.
Mentre l’inquadratura si stringeva e soffermava su quella cornice appesa al muro, ho pensato che l’usanza di andare dal fotografo per farsi fare un ritratto da incorniciare, si è persa e che centinaia di foto sul cellulare hanno sostituito il ritratto.
Ma un solo ritratto, se fatto bene, racconta di quella persona meglio di tante foto scattate in modo superficiale.
Decisi allora di scattare meno istantanee ai miei figli e usare più attenzioni in quelle che facevo.
Le foto dei miei bimbi pubblicate in questo articolo, sono nate per caso, senza aver organizzato un vero servizio fotografico, probabilmente anche stimolato da quelle considerazioni fatte guardando C’era una volta in America.
L’ispirazione venne dalla bella luce che entrava dalla finestra e volli ritrarli immediatamente.
La luce mi suggeriva uno stile “classico”, e non volevo espressioni ruffiane, simpatiche o sorrisi di circostanza.
Volevo cogliere e conservare, le loro espressioni naturali e la bellezza di quel momento.
Quella dei loro occhi e della luce.
Volevo delle foto semplici ma che, come per il ritratto di Deborah Gelly, si potessero guardare a distanza di tempo riconoscendovi tratti della loro personalità in divenire.
Adoro i bimbi e mi piace fotografarli, ma detesto quelle foto dove vengono trasformati in oggetti o pupazzi, oppure ripresi in pose finte e smorfiose per accarezzare l’ego dei genitori.
Un bimbo può essere un soggetto difficile da fotografare bene se non si sa interagire ed entrare in empatia con lui.
Cambia espressioni continuamente o può fare in modo artificioso ciò che sente ci si aspetta da lui. Oppure si impunta per un suo capriccio.
Ci vuole attenzione, pazienza e rispetto per lui.
Rispetto per la sua personalità, che va colta e valorizzata.
Invece la proiezione di quella dei genitori (e la superficialità di alcuni fotografi che scopiazzano alcune mode…) trasforma spesso quello che è il più bel soggetto fotografico, in un piccolo ometto o in un eterno carnevale di farfalline-orsetti-cagnolini-fiorellini.
Questo produce delle “foto simpatiche e alla moda” (sigh), ma che difficilmente esprimono qualcosa di quel bambino.
Avrei un suggerimento: scattiamo meno foto ma stampiamone di più e… regaliamoci un bel ritratto!
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